Relazione di Fine Triennio del Presidente Diocesano

Ecco di Seguito la Relazione di Fine Triennio, da parte di Antonio Izzo, presidente diocesano uscente di Ac:





Assemblea diocesana elettiva di AC Bagnoli, 23  febbraio 2014

1. I laici di Azione Cattolica: corresponsabili della gioia
Il laico di AC ama la gente, vuole fare qualcosa per essa; però più che pensare ai grandi problemi della mediazione culturale, che pure sono importanti, si dedica insieme ai suoi pastori, ai quali offre la sua amicizia, la sua creativa obbedienza, la sua collaborazione operosa. Egli si dedica alla chiesa che qui ed ora si va faticosamente costruendo.
L’Associazione, subito dopo il Concilio, ha dovuto ricomprendere che il suo essere chiamata all’apostolato era in forza del Battesimo e non tanto per un mandato ricevuto dalla gerarchia, così come era scritto nel suo precedente Statuto. La ricerca del proprio campo di azione e della propria identità, sfociò in quella che fu chiamata “scelta religiosa”. Notiamo che tale scelta è connotata dal rifiuto di identificazione con un gruppo di impegno politico in senso stretto e immediato, ma insieme afferma una scelta positiva, quella dell’impegno preferenziale rivolto alla formazione spirituale, che si può chiamare educazione della fede, guida verso una testimonianza adulta del Vangelo, in vista dell’edificazione di comunità cristiane capaci di annunciare Gesù al mondo di oggi.
AC  tra genericità e specificità
Paradossalmente la specificità dell’AC è stata ed è la sua genericità, non nel senso dell’imprecisione; ma nel triplice senso di coltivare un bene cristiano comune qual è la dignità responsabile e attiva del laico nella chiesa e nel mondo; di coltivarlo, inoltre, non nelle settoriali specializzazioni, ma nel fondamentali valori costitutivi; di coltivarlo, infine, tenendo presente il quadro generale e unitario dell’azione pastorale della chiesa. In merito, l’AC, mentre approfondisce le scelte fatte, ha forse la necessità di fare qualche nuova scelta, che le permetta di essere sempre fedele alla sua storia, ma nell’oggi, interpretando i problemi della chiesa e del mondo di oggi. Saranno le scelte concrete, più che i privilegi istituzionali o i riconoscimenti ufficiali, a dare all’Associazione un posto e una funzione nella vita della chiesa e a permettere di valutare se si tratta di un posto episodico e settoriale o di una funzione stabile, difficilmente surrogabile, promotrici di valori cristiani a cui la chiesa non po’ rinunciare.
Dall’identità associativa all’identità ecclesiale – Calo di adesioni
Non è in crisi l’AC è crisi della chiesa, crisi dell’ecclesialità. L’esperienza di questi anni ci dice che l’Associazione la si accetta o perché si è cresciuti al suo interno o per convenienza, però in questo caso si tende a modificarla in maniera funzionale.
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Si registra una crescita del laicato e allo stesso tempo la perdita del valore associativo da parte del clero. Occorre quindi lavorare sulla capacità di autoproporci. L’AC deve scoprire l’identità ecclesiale oltre a quella associativa.  Non abbiamo bisogno di nessuna imposizione autoritaria (decreto episcopale) anche perché i preti se ne infischiano
Pertanto, occorre sempre di più promuovere il dialogo con la gerarchia. Anche l’autorità, cari amici, chiede di essere aiutata ad aiutare meglio gli altri. L’AC si impegna esplicitamente e per statuto a curare i rapporti con chi svolge il ministero dell’autorità, non certo per avere privilegi, ma per facilitare anche agli altri laici il rapporto con la gerarchia e per rendere a tutto il popolo cristiano il servizio di una collaborazione più duttile e costruttiva tra le diverse funzioni ecclesiali.
2. Le radici e le mete (Interiorità e spiritualità)
La dimensione della fede del laico adulto
v Una fede innanzitutto incentrata  su Cristo; non si tratta di una generica apertura al mistero v Una seconda dimensione del credere è quella ecclesiale: il credere è il criterio e fondamento dell’appartenenza comunitaria, per cui esso fonda la chiesa, esige che si creda dentro una chiesa e nello stesso tempo critica ogni appartenenza non legata alla fede. v Una terza dimensione è quella missionaria: la chiesa è per il mondo. Si è chiesa non per se stessi, ma per essere testimoni davanti al mondo e per il mondo (cfr. Evangelii Gaudium)
v Un’ulteriore dimensione è quella epocale. Dal momento che la chiesa non è per se stessa, ma per il mondo, via della chiesa è l’uomo. Occorre allora avere gli occhi aperti sulla realtà storica. Cogliere i problemi concreti in essa presenti e le situazioni di volta in volta emergenti. E’ la concreta problematicità dell’epoca contemporanea a determinare l’ordine del giorno della comunità cristiana. I contenuti derivano dal Vangelo, ma l’ordine del giorno lo fissa il mondo.
La contemplazione
Dobbiamo imparare a contemplare Dio mentre “fatica” e “lavora”. Siamo ben lontani dalla concezione aristotelica del Primo Motore Immobile, dell’amato che non ama, distante dalla vita dell’uomo. La vita dell’uomo non è vittima di un fato capriccioso, misterioso e incomprensibile, come pensa il mondo greco, ma si pone sotto il segno di qualcuno che mi ama e bussa alla porta della mia vita, chiedendo di lasciarlo entrare, nella dolcezza e nella tenerezza di uno sguardo. “Pregare è pensare al senso della vita” (Wittgensain). La preghiera cristiana non promette un esito terapeutico, ma tende all’incontro con Dio, a discernere la sua presenza nella vita quotidiana, a contemplare eventi e persone con i suo sguardo. C’è una dimensione “scandalosa” nella preghiera cristiana che non va ignorata e nascosta, perchè fa parte di quella differenza senza la quale si confonderebbe Dio con i nostri desideri.
La preghiera cristiana è un cammino di purificazione di quelle immagini di Dio che sono “opera delle mani dell’uomo” (Sal115,4). La preghiera è conversione del desiderio che non chiede a Dio: “Fa la mia volontà”, ma “Sia fatta la tua volontà”. Il pregare cristiano comporta anche di donare del nostro tempo a Dio; di collegare il nostro “qui” ed “ora” con l’eternità. Nella preghiera Dio invisibile e apparentemente silenzioso, ci chiama da impegnarci e ad agire. E’ quanto esprimeva D. Bonhoeffer, rinchiuso nel carcere berlinese della Gestapo, quando affermava:
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“Il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell’operare ciò che è giusto tra gli uomini. La vita cristiana si riduce a questi due aspetti inseparabili: la preghiera e l’azione giusta tra gli uomini che ne consegue”
La spiritualità dell’educatore è quella vita nello spirito personale, attenta però a quella di coloro che gli sono stati affidati. L’educatore è come Dio che, come vasaio non getta mai la creta affidatagli di un vaso venuto un po’ male, come ci ricorda il profeta Geremia (Ger 18,1 -6), che non spreca nulla, perché tutto ha valore ai suoi occhi ricordando innanzitutto che l’educatore stesso è questa creta che Dio modella per cui egli stesso è un uomo/una donna in formazione permanente: l’educatore si educa… per educare. Accogliendo questo dono di Dio che è la vita secondo e nello spirito, educatore è una persona che ha incontrato personalmente il Signore, che è alla ricerca del suo volto, sempre e proprio perché afferrato da questo incontro, desideroso di proporlo anche ad altri. Egli, come Dio, è sempre presente nella vita delle persone a lui affidate condividendo con loro l’esistenza nella semplicità, nell’incontro gratuito più che con tecniche raffinate; è uno che ama coltivare le relazioni ad immagine di Dio Trinità che sa riconoscere negli altri un dono a lui affidato e non uno strumento per appagare la sua sete di protagonismo; è uno che si riconosce chiamato dal Signore e inviato da Lui per cui educatori si diventa per vocazione non per intuito personale o per hobby; è uno che aperto allo Spirito sa progettare il cammino di coloro che gli vengono affidati, vivendo sempre nella dimensione dell’attesa ricordando che la vita spirituale è un cammino non un traguardo subito raggiunto; infine, l’educatore è uno che al di là della sua bravura, delle sue tecniche, delle sue risorse, sa riconoscere che tutto l'operato è frutto dello spirito vissuto in comunione con altri. Il protagonismo nella vita dello spirito non trova spazio, ma è necessario un cammino di comunione, fatto insieme ad altri, che mostri più di mille parole messe insieme. La spiritualità dell’educatore è quindi quella dell’ascolto e dell’accoglienza, della presenza e della prossimità, della relazione fraterna, della speranza fiduciosa. Questo vale per il cammino ecclesiale delle persone a noi affidate, ma si è anche educatori nella famiglia, nel mondo del lavoro… educatori/testimoni lieti di quell’incontro che ha cambiato loro la vita. L’immagine molto bella a questo riguardo è quella dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13 -34) in cui possiamo evidenziare tutte queste qualità dell’educatore nella persona stessa di Gesù, che ascolta, propone, accompagna e lascia camminare….
Alcune note di stile
La logica di un annuncio della fede, attento alla situazione esistenziale dei destinatari, richiede un certo stile v Essenzialità dell’annuncio v La radicalità della decisione di fede v La gradualità della proposta, che mette l’accento sulla dimensione di possibilità, cioè di praticabilità della sequela in qualsiasi situazione storico- esistenziale ci si trovi v La piena umanità del Vangelo: far comprendere che la decisione della libertà umana di affidarsi alla rivelazione di Dio, non è rinuncia alla realizzazione di sé, nella forma di un “sacrificio dell’intelligenza” o di “dimezzamento dei desideri” più profondi
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3. Le scelte e i percorsi
Fraternità
Davanti ai molteplici drammi che colpiscono la famiglia dei popoli: povertà, fame sottosviluppo, conflitti, migrazioni, ingiustizie, criminalità organizzata, fondamentalismi… , la fraternità è fondamento e via per la pace. La cultura del benessere fa perdere il senso delle responsabilità e delle relazioni fraterne Gli altri appaiono antagonisti o nemici e sono spesso cosificati. Non è raro che i poveri e i bisognosi siano considerati un fardello, un impedimento allo sviluppo. Sono tutt’al più oggetto di aiuto assistenzialistico. Non sono visti come fratelli chiamati a condividere i doni del creato, i beni del progresso e della cultura, ad essere protagonisti dello sviluppo integrale ed inclusivo. A maggior ragione in un mondo che accresce la propria interdipendenza non può mancare il bene della fraternità, la quale vince il diffondersi della “globalizzazione dell’indifferenza” che deve lasciare il posto alla “globalizzazione della fraternità”. Essere capaci di vivere una fraternità in assenza: cioè una fraternità che non ha bisogno di un legame affettivo, o di sangue, o parentale, e neppure dell’evidenza di una reciprocità e di uno scambio di semplici vantaggi . S. Agostino diceva una frase che andrebbe custodita nel cuore come un progetto di vita: “Non c’è maniera più grande di invitare qualcuno all’amore che cominciarlo ad amare,che prevenirlo nell’amore”
Educare è cosa del cuore
Per la chiesa e per l’AC educare è un dovere gravissimo (cfr. Decreto Concilio Vaticano II sull’Educazione cristiana). L’azione educativa è un’opera complessa e necessita oltre che di mezzi e luoghi molteplici anche di educatori qualificati. L’efficacia degli itinerari formativi e di fede dipende anche da educatori preparati: formazione alla fede adulta, formazione all’ecclesialità e alla laicità, formazione alla corresponsabilità e all’interiorità, formazione alla relazionalità e alla fraternità, formazione alla programmazione
E’ a partire da Gesù maestro ed educatore che possiamo delineare i tratti di una pedagogia cristiana. Agostino, nel commento alla Prima Lettera di Giovanni, afferma: “Il suono delle nostre parole percuote le orecchie, ma il vostro maestro sta dentro. Non crediate che possiate apprendere qualcosa da un uomo. Noi possiamo esortare con lo strepito della voce, ma se dentro non v’è chi insegna, inutile diviene il nostro strepito… Per quel che mi compete io ho parlato a tutti; ma coloro dentro i quali non parla quell’unzione, quelli che lo Spirito Santo non istruisce internamente, se ne vano via senza aver nulla appreso. L’ammaestramento esterno è soltanto un ammonimento, un aiuto. Colui che ammaestra i cuori ha la sua cattedra in cielo”. Questa riflessione agostiniana ci fa capire che ogni educatore deve nutrire il suo servizio di una profonda spiritualità, facendosi uditore della Parola e testimone credibile, autentico, competente e generoso del Vangelo che è chiamato a comunicare e a consegnare alle persone che la chiesa affida al suo ministero educativo. In questo senso si capisce come l’educatore è tutto relativo ad un altro Maestro: il suo  Signore  Vivente.
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I tratti di Gesù Maestro
v L’obiettivo è vivere, non sapere soltanto v Gesù educatore “accompagna” i suoi discepoli v Gesù vive la fedeltà all’uomo in generale e ad ogni situazione umana concreta v L’attività di Gesù educatore non è un lavoro solitario
La fatica di Educare
Gli educatori, come i genitori e gli insegnanti, sono spiazzati da altri maestri, che mettono in discussione la loro autorità con la maggiore forza persuasiva delle loro proposte e dei loro linguaggi. Alcune delle ragioni che mettono in crisi gli educatori sono:
v la condizione di stanchezza degli adulti v la generazione adulta è spiazzata dalla complessità e questo la rende disorientata quanto i giovani v la difficoltà degli adulti a fare gli adulti v la crisi di comunicazione tra le generazioni. L’educazione ha bisogno di parola, di vicinanza, di fiducia, di scambio. Il temine stesso educazione contiene il senso profondo di un’azione volta a trarre fuori ciò che si ha dentro per portare a maturazione ciò che ciascuno porta dentro di sé. L’educatore è colui che conosce la strada e si assume la responsabilità di accompagnare altri nel cammino. Il percorso non è nella mente di chi conduce, ma nella profonda umanità di chi deve essere condotto. Per questo l’educatore è prima di tutto una persona in ascolto. E : v una per sona che ama la vita. Certe proposte fatte solo di “no” o di “divieti”, fatte da persone tristi e spente, non possono suscitare nessun fascino, né suscitare alcun interesse v una persona credibile v una persona capace di relazioni v una persona libera. Nella relazione educativa, questo si manifesta nella capacità di non legare le persone a sé, facendole dipendenti dai modi di fare e di vedere degli educatori, e dunque non libere. v che non teme di esercitare l’autorità (autorevolezza) v una persona di speranza e di pazienza Chi educa sa che deve seminare per il futuro. E dopo aver seminato, sa pazientare, accompagnare l’attesa del germoglio, con la passione, che è amore, che è fiducia, che è la forza di non lasciarsi intimorire dal tempo che passa. v si sente sostenuto dalla comunità
L’educazione è una azione spirituale che ha le stesse caratteristiche della maternità in senso fisico: dedizione, sofferenza, cura, distacco; è un passare attraverso la fatica e i dolori del parto. L’educazione è: v dono, dare affetto, tempo, fiducia, energia, parole, valori v responsabilità, che si esprime attraverso la cura. E’ accompagnare verso la maturità v distacco, necessario perché l’altro diventi se stesso v suscitare, ma nel rispetto della libertà delle persone chiamate a diventare se stesse v introdurre, nella realtà, nella vita e nella società
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In sintesi l’educazione si riduce ad un atteggiamento antico e che don Bosco riassumeva nell’espressione “educare è cosa del cuore”. L’amore che educa sa stabilire una relazione, un legame che toglie le persone dalla reciproca indifferenza e le fa essere l’una per l’altra:
“ Tu, fino ad ora, dice la volpe al Piccolo Principe, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini! E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unico al mondo” (A. De Saint Exupèry, Il  Piccolo Principe, 2008, p.96)
La questione dell’educazione alla fede
Non si può parlare di educazione senza toccare una questione fondamentale per noi: quella dell’educazione alla fede e della fede. Educare alla fede indica il percorso verso la decisione, si tratta di rispondere alla domanda: come favorire l’incontro tra le domande del cuore umano e la persona di Gesù? Educazione della fede è accompagnare quanti hanno accolto la chiamata del Signore, a scoprire il fascino del suo Vangelo, a lottare contro tutto ciò che è in autentico nella loro esistenza. Tertulliano affermava che cristiani non si nasce, ma si diventa, evidenziando la necessità della dimensione educativa nella vita cristiana.
Per crisi di fede, si deve intendere, il rompersi o comunque il venir meno del legame di appartenenza ecclesiale che non significa necessariamente fine di una credenza religiosa e persino di una qualche forma di preghiera personale. Le cause possono essere diverse : v rapporto con l’istituzione chiesa, v difficoltà a doversi decidere per una scelta che coinvolge tutta la vita, v il problema della coerenza, v l’idea che la vita non abiti più nelle manifestazioni o esperienze religiose, v una missionarietà debole , v la tipologia delle forme di comunicazione della fede (“pastoralese”) che scoraggia più di una persona dall’approfondire la propria fede o dall’intraprendere un cammino serio di ricerca) . v Naturalmente c’è anche chi rompe questo legame per la “conversione” ad una credenza incompatibile con essa.
La crisi di fede nella forma di crisi dell’appartenenza ecclesiale può sfociare nel distacco più o meno definitivo dalla fede, ma può costituire la situazione a partire dalla quale è possibile un’iniziazione ad una fede più autentica. Ciò a patto che vi siano luoghi e persone in grado di offrire in maniera efficace un servizio di iniziazione o di ri-iniziazione.
Le attuali condizioni culturali hanno prodotto una sorta di “sterilità religiosa”. Si tratta del venir meno del terreno che permette alla fede di essere seminata, di radicarsi e di svilupparsi. Una crisi delle radici della fede diventa anche occasione di “crisi di fede”: si percepisce la fede come precaria e poco fondata obiettivamente. Oggi ci si sta rendendo conto che l’Iniziazione alla fede, pur comprendendo elementi di apprendistato e di insegnamento, non può ridursi ad essi. Lo si vede dal fatto che giovanissimi e giovani fanno dell’ultima tappa di quella che dovrebbe essere l’iniziazione, la Cresima, l’inizio dell’abbandono.
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Un altro fenomeno, messi in evidenza al Convegno Ecclesiale di Verona, 2006, a cui non viene data adeguata attenzione, ma che è di notevole gravità, è  il diminuire di attenzione e di interesse per la figura di Gesù di Nazareth anche in persone interessate al divino. Solo una comunità portatrice di Tradizione è in grado di vera trasmissione della fede, che non è solo apprendimento ma innesto vitale.
I dieci anni, disegnati come arco temporale negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, sono un tempo adeguato per educare le nostre comunità a cogliere e a provare a corrispondere al lavoro di Dio nella storia e nelle relazioni tra donne e uomini, tra padri, madri e figlie, figli.
Pastorale d’ambiente
Là dove si parla di questioni sociali l’AC cresce perché è vicina alla gente (popolarità) . Occorre riscoprire che siamo in debito di annuncio verso coloro che frequentano part-time o non frequentano affatto la parrocchia e i gruppi, e una comprensione culturale dei nuovi fenomeni che permette anche una riflessine ecclesiale che coinvolge le comunità e le associazioni. Infatti sono proprio le associazioni e i movimenti ad assumersi la ministerialità di andare oltre i luoghi comuni, sollecitati dal bisogno di far condividere le proprie idee elaborando progetti con validi contenuti missionari (pastorale d’ambiente). Solo riscoprendo le motivazioni che rendono l’Associazione missionaria si supererà la sindrome delle “vergini stolte ”, di coloro che hanno gli strumenti e i mezzi ma viene meno il desiderio di crescere e annunziare il Cristo.
C’è un modo di annunciare il Vangelo che lo tradisce, isolandolo dalla realtà umana. Il Dio di Gesù Cristo non chiede di cercarlo fuggendo dalla storia, ma entrando fino in fondo nel cuore di essa. La cultura della violenza, dell’illegalità, della sopraffazione del più debole e del degrado può essere sconfitta solo se lo si segue sulla via dell’incarnazione e della croce. In altri termini, solo se si è disposti a «riconoscere pienamente valore di luogo teologico alla storia”. Se si è portatori di una differenza, di una specificità. Prendere parte alla vita comune chiede coraggio in un tempo in cui si soffre “una certa solitudine di senso”. Ci vuole fierezza e ci vuole umiltà: non si basta a se stessi. Questo è il cristianesimo . “Credere in Dio ci rende dunque portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l’opinione del momento, ci chiede di adottare criteri e assumere comportamenti che non appartengono al comune modo di pensare. Il cristiano non deve avere timore di andare “controcorrente” per vivere la propria fede, resistendo alla tentazione di “uniformarsi”. In tante nostre società Dio è diventato il “grande assente…” (Benedetto XVI- udienza generale 23 gennaio 2013) Controcorrente: scegliere tra timore e coraggio! Il coraggio di non uniformarsi alla mentalità del mondo; vivere tra la gente senza confondersi, per essere cristiani che sanno scegliere ciò che conta e che vale rifiutando comportamenti e cose superflue o inutili; 
La storia dell’AC è una storia di passione per il Bene comune. Lavorare per il bene comune significa costruire una città più umana, saper vivere la compagnia dell’uomo, diventare maestri di umanità. “Siate laici nella chiesa e cristiani nel mondo” amava dire in tutta la sua sapienza teologica Papa Paolo VI. La città è il luogo dove Dio viene a fare casa con l’uomo. La città è la casa comune (Giorgio La Pira). Come cristiani abbiamo il dovere di sognare una città diversa e migliore. L’AC deve essere capace di fare proposte, di avere capacità di dialogare con le istituzioni, vivere la città in maniera incarnata e solidale.
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Quali impegni?
v Uno di carattere testimoniale: testimonianza silenziosa delle opere e quella comunitaria. Una testimonianza umile, appassionata, radicata in una spiritualità profonda, matura e culturalmente attrezzata. v Impegno educativo: aiutare ragazzi, giovani e adulti a vivere i valori giusti, offrire strumento per comprendere la complessità di questo nostro tempo, educare a stili di vita sobri e solidali; formare le coscienze. Se è vero che esiste un legame forte tra educazione, formazione e Missione, occorre far entrare sempre di più nei nostri percorsi formativi la Dottrina Sociale della Chiesa con uno sguardo concreto alla nostra situazione territoriale. Questo è il tempo i cui occorre osare di più in termini di cultura e formazione. Ma è anche il tempo di porre in essere piccoli gesti, ma significativi: fare il biglietto sui mezzi di trasporto, insegnare a fare la raccolta differenziata, non comprare prodotti illegali o prodotti al mercato nero…) v Progettuale: impegno concreto per il bene comune (educare alla socialità, alla legalità, alla sobrietà e al senso civico; educare al pieno rispetto dell’ambiente…)

Vorrei concludere con alcune parole di un racconto dei Chassidim, tradotte in dialetto napoletano da Mons. Bruno Forte, di ritorno da un viaggio in diversi paesi dell’America Latina, che sintetizzano, a mio avviso, tutto quanto detto:
“Cercavo 'na terra, 'na terra assai bella, 'addò nun ce manca 'o pane e 'a fatica: 'a terra d' 'o cielo! Cercavo 'na terra, 'na terra assai bella, 'addò nun ce stanno dulore e miseria: 'a terra d' 'o cielo! Cercanno sta terra, sta terra assai bella, so ghiuto a bussa, preganno e chiagnenno, porta d' 'o cielo... 'Na Voce m'ha ritto, 'a reto a sta porta: Vattenne, vattenne, ch'io m'aggio annascuso 'int' 'a povera gente. Cercanno sta terra, sta terra assai bella, cu' 'a povera gente, avimmo truvato 'a porta d' 'o cielo!”.
                                                                                                 
                          
Antonio Izzo (Presidente diocesano)